PRESCRIZIONE E DECADENZA
Facendo seguito alle richieste pervenute dal coordinatore del gruppo degli economisti, l’area del coordinamento giuridico si è soffermata sull’analisi degli istituti della prescrizione e della decadenza al fine di contribuire alla soluzione delle problematiche maggiormente ricorrenti nell’esame della gestione finanziaria delle Amministrazioni controllate.
Sono stati esaminati i princìpi generali relativi agli istituti in oggetto, con particolare riguardo agli aspetti operativi più significativi in modo da fornire dei punti di riferimento nell’esame delle fattispecie concrete.
- 1 NOZIONI GENERALI, INFLUENZA DEL TEMPO SULL’ACQUISTO E SULL’ESTINZIONE DEI DIRITTI SOGGETTIVI – NATURA E FINALITA’
Avendo il vigente codice civile attuato una netta separazione della disciplina della prescrizione estintiva da quella della prescrizione acquisitiva, ora meglio definita usucapione, si è in tal modo segnata la fine di un’antica tradizione dottrinale e normativa, che considerava unitariamente tali istituti come effetti di un diverso ed unico fondamento: “l’influenza del tempo sui rapporti giuridici.
Tale tradizione risaliva al diritto romano, nel quale si ravvisa la figura indifferenziata della “praescriptio”, ed era stata ribadita oltre che dalla legislazione ecclesiastica, dallo stesso codice Napoleonico, al quale in larga misura s’ispirò il Codice del 1865.
Occorre tuttavia rilevare che, già prima della riforma legislativa, si era venuta affermando una salda corrente dottrinaria che respingeva decisamente l’impostazione dominante, sulla base del rilievo che il tempo è un concetto di relazione, e non un fatto, ed è pertanto incapace di determinare, esso stesso, l’acquisto la perdita del diritto.
Il Ferrucci esattamente osserva che il tempo in realtà non è che “la misura del fatto costitutivo dei due istituti”, il quale fatto costitutivo non è assolutamente identico nei due casi, ma addirittura antitetico: atto continuato di possesso nel caso dell’usucapione, inazione continuata in quello della prescrizione.
Inoltre, mentre il primo istituto, cioè l’usucapione, è di applicazione speciale e limitata (proprietà ed altri diritti reali), il secondo invece è di applicazione generale, poiché determina, a norma dell’art. 2934 C.C., 2l’estinzione di ogni diritto”.
Si poi si considera che anche l’effetto tipico dei due istituti è nettamente diverso, anzi antitetico, giacché essi producono, da un lato, l’acquisto dei diritti reali, dall’altro, l’estinzione dei diritti in genere, si comprende appieno perché l’odierna dottrina in genere si astenga dall’avanzare dubbi sulla reciproca autonomia dogmatico-funzionale.
La prescrizione può in linea generale essere definita come il nesso mediante il quale, per effetto del decorso del tempo, si estingue un diritto soggettivo, capace di reiterato e prolungato esercizio, a causa del mancato esercizio.
Requisiti per la prescrizione sono quindi: l’esistenza di un diritto che poteva essere esercitato dal soggetto; il mancato esercizio del diritto stesso, cioè l’inattività del titolare; il passaggio del periodo di tempo, più o meno lungo, stabilito dalla legge.
Occorre tuttavia tener presente che anche l’esercizio del diritto da parte di altri soggetti, in luogo del titolare (rappresentante, o gestore di affari), vale ad impedire la prescrizione; per converso, il mancato esercizio del diritto da parte di chi era tenuto o autorizzato ad esercitarlo in luogo del titolare, determina la prescrizione, così come il non esercizio da parte del titolare in persona.
La prescrizione inoltre è altresì scongiurata laddove l’esercizio del diritto abbia luogo ad opera di uno solo dei due contitolari del diritto.
Si rileva, inoltre, che la legge non tiene assolutamente conto del fatto che l’inerzia sia volontaria ovvero sia effetto di negligenza; perché la prescrizione si verifichi, si ha riguardo puramente e semplicemente al fatto oggettivo del mancato esercizio.
Solo in certi casi particolarmente determinati, vien preso in considerazione lo stato oggettivo del titolare; il che si verifica al fine di tutelare certe categorie di soggetti, versanti in date situazioni di impossibilità, giuridica o di fatto, di esercitare il diritto.
Nel delineare i tratti generali dell’istituto e anticipando quando sarà meglio trattato in seguito, si può notare che la legge, nel dettare norme organiche sulla prescrizione, ha in particolare considerazione la materia del diritto di credito (artt. 2934 e segg. C.C.), mentre la prescrizione in materia di diritti reali su cosa altrui e prevista da varie norme sparse nel codice nell’ambito della regolamentazione dei vari istituti.
A conclusione di tale visione d’insieme dell’istituto della prescrizione, si presenta infine opportuno ricercarne il fondamento: a tal proposito notiamo che le ragioni addotte per giustificare la prescrizione si presentano notevolmente variabili secondo i tempi e secondo le concezioni dei singoli giuristi.
Alcuni vedono tutelata la certezza delle situazioni giuridiche:sicurezza gravemente compromessa di fronte al pericolo di vedere affermate antiche dopo silenzi di lunghi anni; altri ravvisano una presunzione di rinunzia da parte del titolare del diritto, nel caso in cui questi non lo eserciti; infine, in epoche come la nostra, nelle quali pur nel godimento dei diritti privati si afferma il concetto di una responsabilità sociale, vi si scorge quasi una sanzione tendente a colpire la negligenza del soggetto che non ha esercitato il proprio diritto.
L’esercizio del diritto va quindi concepito come un onere, cui il titolare deve soggiacere, al fine di impedire l’effetto sfavorevole dell’estinzione del proprio diritto.
L’esercizio del diritto va quindi concepito come un onere, cui il titolare deve soggiacere, al fine di impedire l’effetto sfavorevole dell’ostinazione del proprio diritto.
Osserva il Muzzineo, l’ordinamento giuridico viene ad attribuire, sia pure indirettamente, all’esercizio del diritto la funzione di conservare il diritto stesso, cioè di impedire la estinzione derivante da prescrizione, e al contempo stimola il titolare ad esercitarlo, al fine di soddisfare l’esigenza di ordine sociale che il diritto sia esercitato.
Tale fondamento, che colpisce il mancato esercizio, non è invece chiaramente ravvisabile in quell’unico caso in cui la prescrizione opera per effetto del mero decorso del tempo indipendentemente dal non esercizio del diritto: a norma infatti dell’art. 2560 C.C. la prescrizione del diritto d’ipoteca si realizza riguardo ai beni ipotecati acquistati dai terzi indipendentemente dalla prescrizione del diritto di credito garantito dall’ipoteca e col decorso di venti anni dalla data della trascrizione del titolo di acquisto, salve le cause di sospensione e di interruzione.
In ogni caso, comunque si voglia giustificare, la prescrizione risponde indubbiamente ad un’esigenza di ogni società ben ordinata, tanto è vero che la si trova riconosciuta in tutti i paesi civili
- 2 OPERATIVITA’ DELLA PRESCRIZIONE; INDEROGABILITA’ DELLA
DISCIPLINA; RINUNZIA PREVENTIVA E SUCCESSIVA; IRREVERSIBILITA’
D’UFFICIO; PAGAMENTO DEL DEBITO PRESCRITTO
La prescrizione opera ipso iure, il che significa che ipso iure estingue, secondo i casi, l’azione o il diritto.
Ciò tuttavia non deve indurre a ritenere che il giudice possa rilevarla d’ufficio laddove l’interessato non l’eccepisca; l’art. 2938 C.C., infatti, in termini chiari così stabilisce: “il giudice non può rilevare d’ufficio la prescrizione non opposta”.
Le due affermazioni indubbiamente a prima vista appaiono contraddittorie, tant’è vero che qualche autore in base alla seconda (non rilevabilità d’ufficio) sostenne che la prescrizione opera “ope exceptionis”.
Il Marbero , al riguardo, osserva che si tratta di due concetti diversi: una cosa è l’efficacia del fatto, un’altra cosa è la disponibilità dell’eccezione.
Così, ad esempio, il giudice non può rilevare d’ufficio l’avvenuta compravendita, se il compratore, convenuto in rivendica del venditore, non la eccepisce e non la prova; ma ciò tuttsvia non toglie assolutamente che la compravendita di per sé trasferisce la proprietà della cosa, indipendentemente dalla necessità di eccepirla in giudizio quando sia contestata e voglia quindi farsi valere.
Sussiste inoltre un’altra ragione, osserva l’Autore: se infatti il debitore, come meglio vedremo in seguito, può pagare spontaneamente il debito prescritto e può rinunciare alla prescrizione, disponendo in tal modo delle conseguenze di essa, e quindi logico che il giudice non possa rilevarla d’ufficio quando non sia espressamente proposta, giacchè tra l’altro non si potrebbe escludere che l’interessato, col non eccepirla, intende proprio rinunciarvi e comunque non voglia valersene.
Rileviamo infine che la prescrizione opera efficacia perentoria, nel senso che l’effetto estintivo, che da essa deriva, non può essere neutralizzato o infirmato dall’opponibilità di prove in contrario, tendenti cioè che il diritto di cui si tratta non è estinto.
Quando il periodo di tempo stabilito dalla legge è decorso per intero e salvo il caso che durante il suo corso siano intervenute causa di sospensione o d’interruzione, la prescrizione opera incondizionatamente.
Sono stati così esclusi, senza eccezione, tutti i patti derogatori sottraendosi al potere dispositivo delle parti non solo quanto concerne la durata dei termini ma anche quanto si riferisce alle cause di sospensione e di interruzione, alla decorrenza dei termini stessi, ai diritti soggetti a prescrizione.
L’innovazione cui trova il suo fondamento nel carattere di ordine pubblico nell’istituto, che postula l’assolutezza del divieto di quelle modifiche che la parte contrattualmente più forte potrebbe imporre nel suo esclusivo interesse.
A tal proposito è interessante osservare che, in quanto prescrizio e decadenza possono incidere sulla stessa situazione giuridica (l’art. 2967 C.C. infatti così stabilisce “nei casi in cui la decadenza è impedita, il diritto rimane soggetto alle disposizioni che regolano la prescrizione”), l’attribuzione ai privati della facoltà di stabilire convenzionalmente un teremine di decadenza, fatta dall’art. 2965 C.C. , viene gravemente ad infirmare il principio della inderogabilità della prescrizione: infatti, è evidente che un termine di decadenza convenzionale, laddove divenga operante, distrugge il diritto su cui incide, o in tal modo annulla la disciplina legale della prescrizione.
In effetti, la facoltà di far dipendere l’esercizio di un determinato diritto dal compimento di atti o da formalità da eseguire entro un breve termine, comporta l’attribuzione del potere di determinare l’estinzione del diritto stesso nel termine anzidetto: il che è appunto quanto l’art. 2936 C.C. intende negare.
Né può valere, in contrario, l’obiezione secondo la quale il termine fissato dalle parti non sostituirebbe completamente quello legale, giacchè l’aver impedito la decadenza convenzionale non salva definitivamente il diritto, ma lascia ancora esposto all’efficacia della prescrizione; tale tesi non soddisfa poiché comporta, osserva il Forrucci, il disconoscimento della reale portata del divieto posto dalla norma, il quale è con ogni evidenza diretto ad evitare che il diritto venga sottoposto ad eventi perentori diversi dalla prescrizione.
La giurisprudenza ha a tal proposito considerato nulla, in quanto stipulata in frode alla legge (art. 1344 C.C.), l’utilizzazione del termine convenzionale delle parti qualificato come decadenza, al fine di eludere il divieto di deroga alla disciplina legale della prescrizione.
Tale rimedio tuttavia osserva l’Autore, appare di arcana portata, laddove si consideri che il relativo accertamento comporta un indagine di fatto che non solo è in sé alquanto difficile, ma non è neppure censurabile in Cassazione.
Il legame esistente tra la natura di ordine pubblico della prescrizione e della sua funzione di tutela della parte meno provveduta del rapporto giuridico risulta chiaramente posto in luce dal regime della rinunzia, come delineato dall’art. 2937 c.c.: tale disposizione infatti vieta la rinuncia preventiva, facendo invece salva la rinuncia successiva al concepimento della prescrizione.
Essendo stata dichiarata la inammissibilità dei patti derogatori della disciplina legale della prescrizione, si è ritenuto peraltro necessario comminare la nullità della rinunzia preventiva, data la sua capacità di travolgere l’intero istituto alla base, e sulla sicura previsione che essa sarebbe divenuta una clausola di stile, a causa dell’equilibrio di potere contrattuale esistente in genere tra debitore e creditore (al quale rapporto particolarmente ha riguardo il regime della prescrizione).
L’ammissione della rinunzia successiva si giustifica invece sulla base della considerazione che, col decorso del termine, l’istituto abbia assolto la sua funzione sociale e si possa quindi lasciare ai privati la facoltà di decidere la sorte definitiva del diritto secondo la propria autonoma determinazione.
La facoltà di rinunzia è dalla legge limitata ai soli soggetti che possono validamente disporre del diritto, secondo le regole generali in tema di capacità delle persone: tale disposizione è dettata dalla considerazione che l’esercizio del diritto di rinunzia comporta una vera e propria diminuzione patrimoniale, pari all’introito che si sarebbe realizzato con l’estinzione del diritto altrui.
Per la validità della rinunzia occorre pertanto che il soggetto abbia la capacità di agire, non sia cioè minore, né interdetto, né inabilitato, oppure che sia fornito, trattandosi di persona giuridica, della necessaria autorizzazione.
Quando poi si tratti di soggetto diverso dall’interessato, è necessario che sia legittimato da titolo idoneo: non possono di conseguenza validamente rinunziare alla prescrizione i rappresentanti e i mandatari con poteri di ordinaria amministrazione, gli atti di tali soggetti inoltre non possono essere valutati come rinunzia anche se rivelano una indubbia incompatibilità con la volontà di opporre la prescrizione (come nel caso in cui vengono pagati gli interessi di un debito prescritto).
L’atto di rinunzia rappresenta un negozio giuridico unilaterale (dipendendo esclusivamente dalla volontà di chi lo compie), non recettizio, essendo, tra l’altro, ammessa la rinunzia tacita (art. 2937, 3° comma, c.c.).
Non è, infatti, prescritto alcun requisito di forma ed è quindi sufficiente a costituire rinunzia un fatto qualsiasi, positivo o negativo, che risulti incompatibile con la volontà di valersi della prescrizione.
La rinunzia tacita, tuttavia, deve potersi dedurre in modo inequivocabile dal fatto o dal comportamento della parte: il relativo giudizio è di merito e, conseguenza, incensurabile in Cassazione se immune da vizi logici o giuridici.
Rileviamo infine che conto la incompatibilità tra il fatto e la volontà di valersi della prescrizione non hanno valore le proteste e riserve elevate in contrario: “protestatio contra factum nihil relevat”.
A norma di rinunzia al beneficio della prescrizione, per quanto valida, come anche la semplice astensione della parte interessata a valersene, non pregiudicano i creditori della parte medesima e chiunque vi abbia interesse.
L’art. 2939 C.C., infatti, offre a tali soggetti un mezzo di tutela che in una certa misura comporta risultati analoghi all’azione surrogatoria, quando si tratti di astensione, e all’azione revocatoria, per il caso dell’avvenuta rinunzia; tuttavia deve assolutamente escludersi che le facoltà in esame possano identificarsi con quelle relative alle due azioni citate.
Per quanto infatti concerne l’azione surrogatoria, che nel caso in esame non sia dato parlare di essa è dimostrato dalla duplice circostanza che legittimati ad opporre la prescrizione sono, ai sensi dell’art. 2939 C.C., non solo i creditori ma tutti coloro che vi abbiano interesse, e che la prova da dare in giudizio riguarda il solo fatto che la prescrizione non sia stata invocata dalla parte, non anche l’elemento soggettivo della negligenza di questa.
In ordine alla revocatoria è da dire, che la prova che non si sia in presenza di un azione di tal genere è fornita dal fatto che l’articolo citato, diversamente dall’abrogato art. 2912, non si riferisce in alcun modo al “consilium fraudis del debitore, richiesto invece per l’azione revocatoria dall’art. 2901, limitandosi solo a pretendere il fatto obiettivo del pregiudizio.
Si è detto che legittimati ad opporre la compiuta prescrizione, oltre i creditori della parte inerte o rinunziante, sono i soggetti che, per essere legati ad essa da un rapporto giuridico, traggano un vantaggio proprio dalla prescrizione , citare ad esempio ill condebitore solidale, il terzo datore d’ipoteca e il fideiussore, in caso di prescrizione del credito da loro garantito, l’acquirente di un immobile gravato da un diritto reale prescritto, ecc..
Naturalmente intanto gli interessati potranno validamente opporre la prescrizione in quanto il debito prescritto non sia stato già pagato, essendo in tal caso, a norma dell’art. 2940 C.C., esclusa la ripetizione; è inoltre necessario che la loro ragione sia sorta prima che la rinunzia sia stata manifestata, venendo altrimenti a mancare il necessario requisito dell’2eventus danni” che li legittima all’imponibilità della prescrizione.
Si presenta di particolare importanza rilevare che i diritti, anche se prescritti, conservano tuttavia un qualche riconoscimento, in base a quanto si desume dall’art. 2940 C.C. ; ai sensi di tale disposizione infatti, una volta che il debitore abbia spontaneamente pagato in adempimento di un debito prescritto, egli non può più pretendere la ripetizione di quanto abbia versato, essendo il creditore protetto dall’eccezione della soluti retentio.
A tal proposito notiamo che la perentoria affermazione della norma di cui all’art. 23934 (“ogni diritto si estingue”), indurrebbe a ritenere che l’efficacia estintiva della prescrizione sia piena e completa, eguale, quindi, a quella dell’adempimento e delle altre cause di estinzione espressamente stabilita dalla legge, le quali hanno appunto l’effetto di aumentare definitivamente e irrevocabilmente le situazioni giuridiche che vi soggiacciono; sennonché, l’equazione prescrizione-adempimento è destinato a cadere se si tenga presente quanto accade laddove la prescrizione non sia opposta, ossia nel casoincuicolui che ha facotà di eccepirla trascuri di farlo e soddisfi la richiesta d pagamento del creditore, infatti, quando il diritto si è estinto per adempimento, il solvente pagherebbe un indebito e potrebbe rivalersi e ottenere quanto pagato con la condictio indebiti, che non si verifica invece laddove l’estinzione sia dovuta a prescrizione, giacché il pagamento in tal caso, come già detto, è valido ed irripetibile, purchè sia stato spontaneo.
Ciò sembra dimostrare che la prescrizione non provoca la totale estinzione del diritto, ma ne riduce piuttosto gli effetti a quelli che si considerano propri dell’obbligazione naturale, e che consistono esclusivamente nella soluti retentio; il pagamento di un debito prescritto quindi, come precisa il Barbero, non è propriamente un “pagamento non dovuto”, ma soltanto un pagamento “non coercibile”, e peraltro valido pagamento di un debito quando venga effettuato spontaneamente.
Così conclude l’Autore, l’obbligazione per la quale ha operato la prescrizione continua a sopravvivere come obbligazione naturale.
Ricordiamo per inciso che è definita obbligazione naturale quella che, pur non essendo munita di azione per costringere il debitore all’adempimento, ottiene tuttavia un parziale riconoscimento giuridico, giacchè si nega al solvens il rimedio della condictio indebiti, purchè il pagamento si stato da lui fatto spontaneamente, cioè senza costrizione diretta o indiretta; il creditore può così valersi della eccezione della soluti retentio, laddove l’adempiente pretenda la restituzione di quanto abbia veraato a titolo di pagamento (vedi art.