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UNA CULTURA A MISURA D' UOMO

Per debellare il virus dell’egemonia di sinistra

profbaldoniUNA CULTURA A MISURA D’UOMO

Ancora oggi ci sono intellettuali di sinistra che tentano di dimostrare che, in fondo, l’”egemonia comunista” nella cultura e quindi nella scuola e nella ricerca storica, non c’è mai stata. E per avallare le loro elucubrazioni (strumentali e contingenti, aggiungiamo noi), rammentano che il ministro della Pubblica istruzione è stato sempre in mano alla Dc per decenni e che alla Rai, Ettore Bernabei, democristiano di ferro, censurava il lessico delle annunciatrici e le gambe delle ballerine. I motivi che spingono gli intellettuali che gravitano nell’area di sinistra a respingere o ad  annacquare  la tesi dell’ “egemonia comunista” nella cultura, molto sentita ed influente specialmente negli anni che vanno dal dopoguerra alla caduta del Muro di Berlino, sono molteplici. Hanno timore di essere accusati dei privilegi personali e familiari ottenuti con l’adesione al partito delle Botteghe Oscure, che offriva l’opportunità di lavorare nel cinema, di vincere i premi letterari ed artistici, di entrare nelle grandi testate giornalistiche, di fare carriera nelle università…  Ora che splende la stella del Cavaliere, numerosi intellettuali di sinistra, fingono di non essere mai stati organici al Pci, essendosi limitati a votarlo quando c’erano le elezioni. Adesso che non è prudente uscire allo scoperto ci si rintana aspettando che la stella di Berlusconi subisca un improvviso oscuramento. “Resistere, resistere, resistere”, è il motto raccolto ad esempio da chi si è rifiutato recentemente di  fare parte del cast del film “Il sangue dei vinti” di Michele Soavi, tratto da libro di Giampaolo Pansa, adducendo la scusa di altri contratti o impegni disparati.

Lo stesso  deprecabile e disgustoso fenomeno accadeva ai tempi del Sessantotto, quando questa pletora di santoni cavalcava la protesta generazionale oppure negli anni Settanta quando strizzava l’occhio ai terroristi rossi, nel nome della rivoluzione contro lo Stato borghese e padrone. Per poi, una volta svanita la sbornia sessantottina o registrata la sconfitta del terrorismo,  fare marcia indietro e giustificare i “passeggeri sbandamenti”.

Quello dell’ “egemonia comunista”, a parere di Umberto Eco, è stato ed è un modo di dire:  In verità tale predominio fu possibile grazie alla capacità della sinistra d’interpretare lo spirito del tempo. Quelli di sinistra, pertanto, sono riusciti ad emergere e splendere nel firmamento della cultura perché più bravi, intelligenti, preparati, e innanzitutto attenti ai cambiamenti.

 Il virus del comunismo nel tessuto culturale della società 

I fatti della storia, però, oltre che smentire le asserzioni di Umberto Eco, possono aiutarci a comprendere perché il virus del comunismo è penetrato nel tessuto della società italiana e non è stato ancora debellato.

Dopo le elezioni politiche dell’aprile 1948, stravinte dalla Dc sul Fronte popolare, il partito di maggioranza si preoccupò di accaparrarsi e, poi, di detenere le leve del potere politico ed economico. Palmiro Togliatti, autentico “animale politico”, aveva compreso che sarebbe stato alquanto difficile, se non arduo, conquistare Palazzo Chigi con il voto popolare. Neppure con il “Vento del Nord”, come gli suggerivano i leader comunisti Secchia, Longo, Scoccimarro, i fratelli Pajetta, né con l’alleanza dei socialisti di Nenni travagliati da incessanti crisi interne. Togliatti aveva preso atto che era necessario attendere l’evolversi della situazione internazionale. Sancita a Yalta la spartizione del mondo, gli americani non avrebbero mai tollerato che l’Italia potesse trasformarsi in un Paese a regime socialista. Non solo. I comunisti avrebbero dovuto fare i conti anche con la Chiesa cattolica, che aveva contribuito alla disfatta delle sinistre nel ’48.

Il Pci iniziò, pertanto, a perseguire una nuova strategia. Nel settore economico fondò le cooperative (agricole, edilizie, ecc.), nel campo culturale cominciò un’opera di penetrazione sottile e persuasiva. Mentre nelle sezioni (leggete il bel libro “Botteghe Oscure”, addio”, di Miriam Mafai, per sincerarsene) si procedeva con l’indottrinamento marxista, nei variegati settori culturali, dalla musica leggera a quella classica, dalla pittura alla scultura, dal cinema al teatro, dalla poesia alla letteratura, dall’editoria all’istruzione. il Pci lavorò intorno ad un impianto idealista hegeliano-marxista, nel quale fosse proposta una sintesi di Gramsci e di Croce, legandoli peraltro a De Sanctis e Labriola. Queste furono le tradizioni che formarono il cuore dell’ideologia dominante: laica, sicuro; marxista quanto bastava; liberale un poco.

Ai comunisti questa mistura non bastava. Per conquistare il mondo della cultura  e conseguentemente delle scuole e delle università, c’era bisogno anche dei valori del cattolicesimo. Non quello liberale di De Gasperi e di don Sturzo, ma quello “sociale” di Dossetti e La Pira. Per questo ricorsero ai temi della solidarietà, del pacifismo, del Terzo Mondo.

La presenza della Dc nella cultura, in quel periodo, fu rappresentato dagli esponenti della sinistra che vagheggiavano, però, un “incontro” tra cattolici e comunisti. Le sinistre imposero ad artisti ed intellettuali l’obbligo di schierarsi e di “motivare” le loro opere e le loro attività, pena l’emarginazione totale.

 

Il pretesto dell’antifascismo e gli errori dei cattolici

E chi avversava, da destra, la lenta ma inesorabile marcia della sinistra negli ambienti della cultura, era isolato, demonizzato, tacciato di fascismo. I comunisti, nei momenti di difficoltà, si sono sempre appellati ai laici, ai liberali, ai cattolici nel nome dell’antifascismo.

Con il pretesto dell’antifascismo, del resto, i comunisti hanno evitato in più occasioni di essere esclusi dai giochi di potere.  Ricordate nella seconda metà degli anni Settanta l’ “arco costituzionale”, l’insieme di tutti i partiti istituzionali da cui era escluso solo il Msi  e di cui faceva parte integrante e determinante il Pci, tra i più attivi elaboratori del programma di governo della solidarietà nazionale?

Responsabilità da parte dei cattolici, quelli non proni alla sinistra, ce ne sono tante. Perché si sono illusi che le scuole e le università private, in particolare quelle gestite dai religiosi, potessero rappresentare isole felici, dove speravano non attecchisse il germe della cultura marxista. Il Sessantotto, però, ha lasciato un segno profondo nelle nuove generazioni, specialmente per ciò che riguarda il cambiamento dei costumi, a cui anche gli studenti provenienti dagli istituti e dagli atenei privati si sono adeguati. Inoltre i costi di gestione sono saliti lentamente ma in modo irreversibile, tanto da costringere alla chiusura o alla riduzione delle sezioni. Per non parlare della crisi delle vocazioni che hanno spinto numerose scuole e, quasi tutte le università, a fare ricorso a docenti laici.

Inoltre, come ha ricordato recentemente lo storico Franco Cardini, gli insegnanti non allineati a sinistra hanno rifiutato, più per pigrizia che per altro, gli aggiornamenti perché “preferivano ispirarsi ai classici ma, in realtà, al massimo leggevano le Antologie”. Ancora oggi ci sono insegnanti “demotivati”, culturalmente “proletarizzati”, che non hanno né la voglia, né la possibilità di aggiornarsi, che annegano nel conformistico clima dei cliché di una sinistra, divenuta ormai depositaria e garante del perbenismo interpretativo dei manuali; insegnanti che accettano i volumi senza neppure consultarli, in cambio di “viaggi-aggiornamenti-premio” o dei volumi omaggio.

Purtroppo il governo di centrodestra nel quinquennio 2001 – 2006 e dopo la vittoria elettorale del 2008 non è riuscito a imprimere alla scuola una radicale inversione di rotta per far sì che i docenti  potessero scuotersi dal torpore; che le scuole e le università non fossero una catena di montaggio buona per fabbricare individui senza cervello e senza cuore.