Pubblico impiego
PUBBLICO IMPIEGO
Rapporto di lavoro nell’ente locale inquadramento incarichi di collaborazioni esterne
Il rapporto di lavoro di pubblico impiego ha assunto nell’attuale assetto normativo natura privatistica ed è stato ricollegato alla medesima disciplina di qualsiasi altro rapporto di lavoro dipendente.
Di conseguenza il rapporto di lavoro presso la P.A. non si costituisce più attraverso il provvedimento amministrativo unilaterale di nomina al quale accedeva, come condizione di efficacia,la volontà dell’interessato di accettarlo, bensì mediante la stipula di un contratto individuale di lavoro dal quale derivano, per entrambi le parti, diritti ed obblighi reciproci.
Si tratta di un rapporto giuridico bilaterale dal quale scaturiscono, essenzialmente, in capo al prestatore di lavoro l’obbligo di svolgere l’attività lavorativa ed il corrispondente diritto alla retribuzione per il lavoro svolto, e, in capo al datore di lavoro lo specifico diritto alla prestazione lavorativa con il connesso obbligo di corrispondere la retribuzione e di rispettare le altre previsioni contrattuali.
In quanto lavoro dipendente, inoltre, quello alle dipendenze della P.A., si caratterizza per la relazione di subordinazione gerarchica, in virtù della quale il lavoratore è tenuto a svolgere la propria attività alle dipendenze e sotto la direzione del datore di lavoro, nonché per la relazione fiduciaria intercorrente tra dipendente e P.A., relazione che impone la personalità della prestazione, dovendo l’Ente fidarsi della specifica capacità intellettiva e tecnica di coloro cui affida la cura dei propri interesse.
I suddetti caratteri tipici del rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A., connotavano il rapporto di pubblico impiego anche prima della c.d. privatizzazione.
La dottrina, infatti, qualificava il pubblico impiego come un rapporto di servizio di diritto poiché costituito mediante un provvedimento di assunzione, volontario e professionale.
I connotati della volontarietà e della bilateralità caratterizzano, dunque, anche il rapporto di pubblico impiego, pur non essendo costituito mediante la stipula di un contratto, poiché la volontà del prestatore era comunque essenziale ai fini della produzione degli effetti del provvedimento di nomina.
Il rapporto di pubblico impiego era gestito dall’Amministrazione mediante l’esercizio dei suoi poteri autoritativi; ciò, comunque, non escludeva che dipendente pubblico e P.A. vantassero, reciprocamente, soprattutto sul piano economico, diritti soggettivi cui corrispondevano situazioni passive di obbligo.
L’esigenza sempre più pressante di ridurre le distanze tra lavoro pubblico e privato, insoddisfatta dagli interventi pregressi, ha indotto il legislatore ad imboccare un nuovo percorso ed a procedere quindi, ad una riforma integrale del pubblico impiego.
Così l’attuazione della delega conferita con la legge n.421/92 è stato emanato il D.Lgs. n. 29/93 la cui portata innovativa consiste nel fatto che con esso è stato varato il primo vero processo di privatizzazione del pubblico impiego: solo nel 1993, è stato definitivamente superato l’assunto per cui il carattere soggettivamente pubblico di una delle parti del rapporto di lavoro implica necessariamente la natura pubblicistica dello stesso.
Dal riconoscimento della natura privatistica del rapporto di pubblico impiego sono derivate quattro conseguenze fondamentali: la P.A. in qualità di datrice di lavoro ha perso il tradizionale ruolo autoritativo che rivestiva nei rapporti con i propri dipendenti e la sua posizione è stata assimilata a quella dei datori di lavoro privati: essa esercita la propria potestà di autorganizzazione come ogni soggetto dotato di capacità imprenditoriali;
gli atti di gestione del lavoro sono stati equiparati q quelli con i quali il datore di lavoro privato organizza la propria attività produttiva e la posizione giuridica vantata dai privati a fronte di essi ha perso conseguentemente la natura di interesse legittimo comportando la devoluzione delle controversie al G.O.;
tra le fonti del rapporto di pubblico impiego privatizzato sono state incluse le disposizioni del codice civile e delle leggi sui rapporti di lavoro privato nell’impiego, nonché, per le materie non riservate alla legge, i contratti collettivi stipulati tra le parti;
la genesi del rapporto individuale è stata ravvisata non più in un provvedimento di carattere pubblicistico di nomina, ma in un contratto individuale di diritto privato.
Alla luce di questa privatizzazione delle fonti e degli atti di organizzazione e gestione del rapporto, in una con l’avvento della contrattualizzazione individuale e collettiva, è sembrato più corretto, vista l’abolizione del diritto amministrativo del lavoro, qualificare il rapporto dei dipendenti pubblici non più come pubblico impiego, bensì come rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A., in guisa da mettere in risalto che il pubblico rimane solo il soggetto datore e non più il regime del rapporto di lavoro.
Con la legge delega n.15/2009, il legislatore ha attribuito un’ampia delega al Governo per riformare, anche mediante modifiche al DLgs. n. 165/2001, vari aspetti della disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, con particolare attenzione all’implementazione dei sistemi interni ed esterni di valutazione del personale e delle strutture amministrative;uno dei più importanti obiettivi consiste nel garantire la convergenza del mercato del lavoro pubblico con quello del lavoro privato.
Tuttavia il legislatore sembra voler ripristinare un assetto delle fonti di disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A. basato sul primato della fonte legislativa rispetto alla contrattazione collettiva operando una parziale inversione di rotta rispetto alle tendenze degli anni novanta di privatizzazione normativa del pubblico impiego.
La delega è stata attuata con il decreto legislativo n. 150/2009 il quale ha operato, in particolare, in materia di contrattazione collettiva, di valutazione delle strutture e del personale delle pubbliche amministrazioni, di valutazione del merito, di promozione delle pari opportunità, di responsabilità disciplinare.
Sul piano teleologico il decreto tende ad assicurare una migliore organizzazione del lavoro, l’osservanza degli ambiti riservati rispettivamente alla legge ed alla contrattazione collettiva, il conseguimento di elevati standards qualitativi ed economici delle funzioni e dei servizi, l’incentivazione della qualità della prestazione lavorativa, l’incremento dell’efficienza del lavoro pubblico, nonché la trasparenza dell’operato delle amministrazioni pubbliche anche in garanzia della legalità.
La portata della privatizzazione è di notevole rilevanza soprattutto dal punto di vista normativo; il rapporto di lavoro dei dipendenti privatizzati è infatti, sottoposto alla medesima disciplina di qualsiasi altro rapporto di lavoro dei dipendenti privati come si desume dall’art. 2 comma 2 del Dlgs. n. 165/01; detta disposizione ha acquisito attualmente il carattere di norma imperativa, poiché all’art. 33 del Dlgs. n. 150/09, prevede, infatti, che al primo periodo del comma 2 dell’art. 2 T.U. del pubblico impiego, vengano aggiunte le parole “che costituiscono disposizioni a carattere imperativo”.
Nel quadro normativo tracciato dal T.U. dunque, non sussistono più dubbi circa l’applicabilità al pubblico impiego delle norme dello Statuto dei lavoratori, delle norme relative al divieto di intermediazione di manodopera, sulla tutela delle lavoratrici madri, sullo sciopero.
Il rinvio alla disciplina privatistica effettuato dal D. lgs. n. 165/01, tuttavia, non è assoluto: l’art. 2 comma 2, infatti, fa salve le diverse disposizioni dettate dallo stesso decreto per la regolamentazione di quegli aspetti del rapporto di lavoro che, in virtù della peculiarità di esso rispetto al lavoro privato, necessitano di una specifica disciplina.
L’assimilazione del lavoro alle dipendenze della P.A. al lavoro privato non è avvenuta solo attraverso assoggettamento della disciplina del rapporto di lavoro dei pubblici impiegati alla normativa di diritto comune, ma anche attraverso la regolamentazione del rapporto di lavoro mediante contratti collettivi e individuali.
In tale prospettiva, la privatizzazione del pubblico impiego inaugurato dal D. Lgs. n. 29/93 è inscindibilmente connessa alla contrattualizzazione del rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A., e, dunque, all’esaltazione del ruolo dell’autonomia negoziale delle parti nella regolazione dei loro rapporti.
La descritta centralità dell’autonomia della contrattazione collettiva è stata notevolmente ridimensionata dalla legge delega n. 15/09 e con il successivo Dlgs. n. 150/09.
In parziale controtendenza rispetto al percorso inaugurato con il Dlgs n.29/93, infatti, il legislatore ha da un lato consentito alla contrattazione collettiva di derogare alla previgente disciplina solo laddove la legge lo preveda e, dall’altro lato, ha sottratto alla contrattazione collettiva una serie di materie provvedendo alla loro diretta regolamentazione mediante lo strumento delle novelle al D. Lgs. n. 165/01.
Il quadro complessivamente risultante dalla rivisitazione del comma 1 dell’art. 40 evidenzia una netta delimitazione dell’ambito di azione della contrattazione collettiva in favore di un generale potenziamento della fonte legale.
Nel nuovo assetto dei contratti dopo la privatizzazione, il rapporto alle dipendenze della P.A. è costituito e regolato non più da atti amministrativi unilaterali, ma dal contratto individuale di lavoro che provvede a dettare regole cui datore e prestatore devono attenersi nel corso del rapporto, recependo le prescrizioni contenute nei contratti collettivi.
I contratti collettivi a seguito della sottoscrizione sono immediatamente efficaci sia per l’Amministrazione che per i lavoratori.
La vincolatività dei contratti collettivi per l’amministrazione deriva dal fatto che essa, sebbene non partecipi direttamente al loro complesso iter formativo, negozia con le rappresentanze sindacali dei lavoratori tramite l’Aran, sua rappresentante legale.
Nonostante il venir meno dell’atto di recepimento da parte dell’Amministrazione, viene in rilievo un contratto collettivo efficace erga omnes, sia per le Amministrazioni che per tutti i lavoratori del settore, pur se non aderenti alle organizzazioni sindacali firmatarie.
Sempre nel solco della privatizzazione del pubblico impiego, sotto il punto di vista della contrattualizzazione del relativo rapporto, ulteriore testimonianza è data dal fatto che l’assunzione del dipendente non avviene più con atto unilaterale di nomina di carattere pubblicistico, bensì con un contratto di diritto privato.
Per quanto concerne, in particolare, il lavoro svolto alle dipendenze degli Enti locali, si evidenzia che l’art. 88 del DLgs. n. 267/01 applica le disposizioni del Dlgs n. 165/01 e le altre disposizioni di legge in materia di organizzazione e lavoro nella P.A., nonché quelle contenute nello stesso Testo unico degli enti locali.
La disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti degli Enti locali è articolata secondo i seguenti livelli:
- legislazione nazionale (D. Lgs. n. 165/01, TUEL, Codice civile e alcune leggi di settore, quali la legge n. 146/90 sull’esercizio del diritto di sciopero);
- contrattazione nazionale di comparto, nei limiti fissati dal nuovo art. 40 del D.Lgs. n. 165/01;
- fonti normative locali come statuto, regolamenti di organizzazione ed altri regolamenti per la definizione di istituti organizzativi che si ripercuotono sul rapporto di lavoro;
- contrattazione integrativa;
- contrattazione individuale, con cui s’instaura il singolo rapporto di lavoro.
Comuni e Province provvedono a definire l’ordinamento generale degli uffici e dei servizi, ovvero a disciplinare il proprio assetto organizzativo e funzionale mediante regolamenti emanati nel rispetto delle previsioni statutarie in materia (art. 89 T.U.).
Nell’esercizio della potestà regolamentare loro spettante, gli Enti locali si attengono a precisi criteri guida in modo che l’intera gestione burocratica risulti caratterizzata da autonomia, funzionalità, economicità, professionalità e responsabilità rispettando un preciso ambito di operatività definito dal secondo comma dell’art. 89 T.U.
L’art. 3 comma 56 della l. n. 244/2007 (da ultimo sostituito dall’art. 44 comma 3 del D.L. 25/06/2008 n.112 convertito con le modificazioni nella l. n. 133/08), ha previsto, inoltre, che con i regolamenti di cui all’art. 89 siano fissati, in conformità a quanto stabilito nelle disposizioni vigenti, criteri e modalità per l’affidamento di incarichi di collaborazione autonoma, che si applicano a tutte le tipologie di prestazioni.
La violazione delle disposizioni regolamentari innanzi indicate, costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale, con obbligo della P.A. di recuperare le somme spese dal dirigente responsabile.
Nel processo di riforma e modernizzazione della P.A. un’attenzione costante del legislatore è dedicata alla razionalizzazione delle risorse secondo obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità.
L’art. 97 del T.U. codifica come obblighi tali esigenze stabilendo, al comma 1, che gli Enti locali adeguano i propri ordinamenti ai principi di funzionalità e di ottimizzazione delle risorse, per migliorare l’andamento dei servizi, in sintonia con le disponibilità finanziarie e di bilancio.
La politica di assunzione negli enti locali è legata ad un obiettivo fondamentale: la riduzione programmata della spesa del personale; gli strumenti individuati dal Testo Unico a tale scopo sono l’adozione di un programma triennale del fabbisogno del personale ed il ricorso a soluzioni organizzative che si traducono nella utilizzazione di tipologie contrattuali flessibili.
Con l’emanazione del D. L. n.112/2008 convertito con modificazioni nella legge n. 133/08, il legislatore ha dettato ulteriori disposizioni finalizzate a contenere la spesa pubblica in materia di personale ed ha precisato il concetto di “spesa personale” negli Enti locali ai fini dell’applicazione delle restrizioni normative previste; pertanto come prevede il comma 1 dell’art. 76 (modificando l’art. 1 comma 557 della l. n. 296/2006), costituiscono spese di personale anche sostenute per:
- i rapporti di collaborazione continuata e continuativa e la somministrazione di lavoro;
- il personale di cui all’art. 110 del D. Lgs. n. 267/00;
- tutti i soggetti a vario titolo utilizzati, senza estinzione del rapporto di pubblico impiego,
in strutture ed organismi variamente denominati partecipati o comunque facenti capo all’ente.
Il comma 4 dell’art. 76 del D.L. n. 112/08, in caso di mancato rispetto del patto di stabilità interno nell’esercizio precedente, fa divieto agli enti locali di procedere ad assunzione di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, compresi i rapporti di collaborazione continuata e continuativa e di somministrazione, anche con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto.
L’intervento del legislatore è stato notevolmente incisivo al fine di attuare l’osservanza del divieto di assunzione del personale laddove ha disposto altresì che è vietata agli enti la stipulazione di contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi della disposizione di cui all’art. 76.
L’art. 76 comma 5 del D.L. n. 112/08 prevede, inoltre, che gli enti sottoposti al patto di stabilità interno, debbano assicurare una riduzione dell’incidenza percentuale delle spese di personale rispetto al complesso delle spese correnti, con particolare riferimento alle dinamiche di crescita della spesa per la contrattazione integrativa, tenuto conto anche delle previsioni normative relative alle amministrazioni statali.
Negli ultimi anni alla P.A. sono state assegnate funzioni sempre più complesse in seguito all’evoluzione dell’ordinamento dovuto alle rapide e continue innovazioni socio-economiche.
La P.A. ha dovuto affrontare queste nuove istanze provenienti dalla collettività basandosi sull’organizzazione delle risorse umane e finanziarie non adeguate nel corso degli anni e alle nuove funzioni assegnate dal legislatore.
Al fine di far fronte alle nuove esigenze, il legislatore ha previsto la possibilità di ricorrere agli incarichi esterni di collaborazione e consulenza nel caso in cui non sia presente nell’organico personale con la specifica professionalità necessaria allo svolgimento di particolari finalità.
I motivi del ricorso di soggetti esterni alla strutta dell’Ente, sono stati molteplici, ma uno dei più rilevanti è imputabile come detto in precedenza, dell’ampliamento negli anni novanta delle funzioni e delle competenze istituzionali attribuite dal legislatore alle Amministrazioni pubbliche ed, in particolare, agli Enti locali.
Nell’anno 2004 il legislatore ha inteso porre dei limiti agli Enti per contenere e nel contempo ridurre il ricorso a tali forme di collaborazione.
Al riguardo si deve sottolineare che è stato emanato il “decreto Bersani” (D.L. n. 223/06 convertito nella legge n. 248/08) prevedendo nuovi vincoli di legittimità alla P.A. nell’attribuzione degli incarichi a soggetti estranei all’Amministrazione.
In tale prospettiva va anche inquadrata la legge n. 244/2007 (finanziaria 2008) che ha modificato di nuovo il quadro normativo che legittima l’affidamento di incarichi esterni con l’emanazione del D.l. n. 112/08 convertito con modificazioni nella legge n. 133/08.
Nel contesto normativo delineato si possono inquadrare gli orientamenti derivanti dalle decisioni delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti che hanno contribuito a precisare presupposti, requisiti e procedure per una corretta attribuzione degli incarichi e delle relative responsabilità contabili a carico degli amministratori.
La Corte dei conti si è pronunciata in materia con decisioni a Sezioni riunite ed il principio fondamentale che è emerso dall’esame di tali decisioni è che l’attività della P.A. deve essere esplicata dai propri organi ed uffici essendo ammissibile l ricorso a soggetti esterni solo nei casi previsti dalla legge ed in relazione a situazioni straordinarie da non poter affrontare con le risorse umane presenti nella dotazione organica.
Il principio innanzi espresso si è ormai consolidato nella giurisprudenza della Corte e si è affermato il concetto basilare secondo cui ogni Ente pubblico o locale deve svolgere i propri compiti con la propria organizzazione ed il proprio personale e che il ricorso esterno è consentito soltanto nei casi previsti dalla legge ed in relazione ad eventi straordinari che non possono essere affrontati con la struttura esistente.
Il ricorso a professionisti esterni alla struttura amministrativa è ammissibile soltanto in ipotesi eccezionali, opportunamente motivate, nel caso in cui particolari obiettivi non possono essere conseguiti dal personale in organico e comunque per un periodo limitato di tempo.
Tale orientamento si può ricollegare all’esigenza di ogni Amministrazione di avere una struttura caratterizzata da principi di snellezza ed efficienza con l’utilizzo di tutte le risorse umane già appartenenti all’Ente, ricorrendo a professionalità esterne solo nei casi di oggettiva e motivata carenza interna delle stesse.
Nel caso in cui la struttura dell’Ente non comprenda nell’organico soggetti idonei ad assolvere le funzioni assegnate, l’Amministrazione può regolarsi nel modo seguente: assumere nuovo personale se le esigenze non sono temporanee ma durature e riguardano servizi cui l’Ente deve far fronte in modo continuo ed ordinario; oppure affidare un incarico ad un soggetto estraneo nell’ipotesi in cui sussistano esigenze di carattere temporaneo ed urgente.
La programmazione del fabbisogno di personale deve essere improntata nel nuovo contesto in cui opera l’Amministrazione ad una logica di produttività e di risultato secondo principi di carattere privatistico; ogni Amministrazione deve svolgere una preventiva ed attenta valutazione delle attività suscettibili di esternalizzazioni; una volta stabilite in modo rigoroso le attività istituzionali da porre in essere in proprio, si può operare l’ individuazione dell’effettivo fabbisogno di personale e delle strategie più idonee da adottare per un conseguimento degli obiettivi assegnati secondo un rapporto ottimale tra costi e benefici.
La configurazione dello scenario in cui l’Amministrazione adotta le decisioni ritenute più idonee in relazione ai risultati che intende perseguire, può comportare un’opzione che per attività rispondenti ad esigenze temporanee seppure di natura istituzionale, si può ricorrere a soggetti esterni applicando una disciplina non riconducibile al rapporto di lavoro subordinato; le esigenze permanenti, invece, possono essere soddisfatte con diversi strumenti e modalità, quali la mobilità ed il reclutamento di personale con contratto a tempo indeterminato o di formazione lavoro.
Le esigenze temporanee, invece, intese come quelle destinate ad esaurirsi nel breve e medio periodo, possono essere affidate al verificarsi di determinate e tassative condizioni anche a soggetti esterni con specifica professionalità con i quali la P.A. instaurerà un rapporto di lavoro autonomo.
Il quadro normativo in tema di incarichi esterni negli Enti locali è costituito dall’art. 7 del D lgs n. 165/01, come modificato dal Dl. n. 223/06 convertito con legge n. 248/06; dalla legge n. 244/07 ed infine dal D.L. n. 112/08 convertito con modificazioni dalla legge n. 133/08 e dall’art. 110 comma 6 del D.Lgs. n. 267/2000.
L’art. 7, comma 6, del Dlgs n. 165/01 prevede che le Amministrazioni possano conferire incarichi individuali con contratti di lavoro autonomo di natura occasionale o coordinata e continuativa ad esperti con comprovata specializzazione anche universitaria per il conseguimento di obiettivi che non possono essere conseguiti con le professionalità presenti all’interno dell’Ente.
La legittimità del conferimento di incarichi di consulenza e collaborazione richiede la sussistenza di determinati presupposti:
1) l’oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze assegnate all’Amministrazione che conferisce l’incarico, ad obiettivi specifici e deve essere coerente con le esigenze di funzionalità della stessa;
2) l’Amministrazione deve accertare in via preliminare l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;
3) la prestazione deve essere temporanea e di notevole qualificazione;
4) devono essere precisati in via preventiva durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.
La legge finanziaria 2008 nell’art. 3 comma 76 ha integrato le caratteristiche delle collaborazioni esterne modificando il comma 6 dell’art. 70 del Dlgs. n. 165/01; dal gennaio 2008 gli incarichi di natura autonoma sia occasionali o di collaborazione coordinata e continuativa possono essere attribuiti soltanto ad esperti “di particolare e comprovata specializzazione universitaria” a differenza di quanto previsto dal testo precedente che faceva riferimento soltanto alla “provata competenza”; era pertanto necessario che il soggetto cui si intendeva affidare il soggetto cui si intendeva affidare l’incarico fosse in possesso della laurea.
La dizione “di particolare e comprovata specializzazione universitaria” con la riforma universitaria si poteva interpretare come necessità del possesso del titolo di studio della laurea del vecchio ordinamento o della laurea specialistica del secondo livello.
Tale interpretazione è stata ribadita anche dalla funzione pubblica con il parere n. 5/08, con cui è stato precisato che gli incarichi esterni potevano essere affidati esclusivamente a soggetti in possesso della laurea magistrale (laurea quinquennale del vecchio ordinamento) o della laurea specialistica (laurea di secondo livello del nuovo ordinamento universitario).
Il D.L. n. 112/08 convertito nella legge n. 133/08, ha apportato una rilevante innovazione circa il requisito del titolo di studio richiesto all’esperto esterno.
Con la predetta integrazione normativa, infatti, l’art. 46 del Dl. n. 112/08 modificato dalla L. n. 133/08, oltre a prevedere “la particolare e comprovata specializzazione anche universitaria” ha aggiunto che “si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti d’opera per attività che debbono essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell’arte, dello spettacolo o dei mestieri artigianali, ferma la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore”.
Pertanto, benché sia ancora previsto il titolo di studio della laurea, sono configurate delle eccezioni relative alle collaborazioni non ricollegabili ai contratti d’opera o che hanno ad oggetto attività che possono essere svolte da soggetti iscritti in albi professionali o da soggetti che operano nel mondo dello spettacolo o da artigiani di comprovata esperienza; per questo tipo di attività viene modificato un vincolo (il titolo di studio della laurea) che si era rivelato nelle fattispecie concrete non strettamente correlato alle attività da svolgere.
Al di fuori dei casi tassativamente previsti riacquista valenza il principio della specializzazione universitaria, secondo cui la sola laurea triennale non costituisce un presupposto sufficiente ad integrare il requisito.
La Sezione regionale di controllo della Corte dei conti per la Lombardia nella delibera n. 37/09 ha chiarito il concetto di “particolare e comprovata esperienza universitaria” inteso come conoscenza specialistica assimilabile a quella che si otterrebbe con un percorso formativo di tipo universitario basato, peraltro, su una preparazione specifica relativa al tipo di attività professionale oggetto dell’incarico.
La Corte ha inoltre precisato che la particolare esperienza professionale, per essere “comprovata”, deve essere attentamente verificata in concreto mediante l’esame dei curricula; si osserva al riguardo, che il mero possesso formale dei titoli non si rivela sempre essenziale per comprovare la acquisizione delle richieste capacità professionali.
Ad eccezione delle ipotesi espressamente previste, per le quali la particolare e comprovata specializzazione può anche non essere accompagnata da un titolo universitario, ma può essere valutata facendo riferimento alla maturata esperienza nel settore, ai fini del conferimento di incarichi esterni, resta un presupposto fondamentale un percorso formativo e professionale universitario.
Si deve evidenziare che la nuova versione dell’art. 7 comma 6 del D.Lgs n. 165/07, come modificato dalla “Manovra d’estate 2008”, prevede che il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l’utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati, è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti”.
Il comma 77 della legge finanziaria 2008 ha poi aggiunto il comma 6 quater al citato art. 7, il quale prevede che le norme di cui ai commi 6, 6 bis e 6 ter dello stesso articolo non si applicano ai componenti degli organismi di controllo interni e dei nuclei di valutazione, nonché agli organismi operanti per le finalità di supporto alla programmazione, alla valutazione ed al monitoraggio degli investimenti pubblici (art. 1 comma 5, legge n. 144/99), riconoscendo, almeno per l’affidamento di tali incarichi, maggiori discrezionalità alle Amministrazioni locali.
In considerazione del fatto che sia la legge finanziaria 2008 che il successivo D.L. n. 112/08, convertito con la legge n. 133/08, hanno modificato anche l’art. 36 del D. Lgs. n. 165/01, stabilendo che gli Enti possono acquisire personale soltanto con contratti a tempo indeterminato, l’intento del legislatore che emerge dal nuovo assetto normativo è quello di limitare quanto più possibile il ricorso ad incarichi esterni, attribuendo preminenza al lavoro dipendente a tempo indeterminato.
La normativa presa in esame con le ulteriori integrazioni intervenute nell’anno 2008, ha ridimensionato notevolmente la possibilità di ricorrere al conferimento di incarichi a soggetti esterni per l’Ente, tenendo presente che si rendono indispensabili verifiche soggettive ed oggettive da precisare in modo rigoroso nella motivazione del provvedimento di affidamento in conformità a quanto disposto dall’art. 7 comma 6 del testo unico sul pubblico impiego.
In questa prospettiva la trasmissione degli atti relativi agli affidamenti di incarichi a soggetti esterni all’Ente alla competente Sezione regionale di controllo della Corte dei conti prevista dalla legge non dovrebbe assumere carattere meramente ricognitivo o statistico; al fine di verificare in modo rigoroso ed oggettivo la necessità dell’Ente di far ricorso a soggetti esterni per il conseguimento di obiettivi per cui è richiesta un’elevata professionalità la trasmissione dei relativi atti alla Corte può essere considerata una fase di rilevante importanza nell’ambito procedurale configurato dalla normativa in materia.
Il legislatore a conclusione del procedimento di attribuzioni degli incarichi ha previsto un vero e proprio controllo della Corte dei conti al fine di verificare e garantire che il conferimento di incarichi si realizzi in conformità della normativa vigente e nel rispetto di criteri di soggettività e trasparenza.
Il legislatore ha riconosciuto un ruolo di primaria importanza alla Corte dei conti in considerazione della funzione di salvaguardia degli equilibri di bilancio svolta dalla stessa ed in quest’ottica il controllo sul conferimento degli incarichi può essere configurato una integrazione della più ampia e generale attività di controllo posta in essere sugli Enti locali relativamente alla gestione finanziaria.
Pertanto la Corte nell’esame dei singoli atti di conferimento di incarichi non deve limitarsi all’esame meramente formale delle dichiarazioni in essi contenute come ad esempio, il presupposto della “particolare e comprovata specializzazione anche universitaria”, ma deve verificare in modo atttento e rigoroso il relativo curriculum del soggetto cui viene attribuito l’incarico e nel contempo analizzare la necessità di ricorrere all’esterno per il conseguimento della prestazione.
Al riguardo la Corte può richiedere all’Amministrazione notizie relative all’organico di cui dispone, delle qualifiche rivestite dalle varie unità degli obiettivi che intende perseguire, in modo da verificare se la prestazione richiesta rientri o meno nell’ordinaria attività svolta dall’Ente e se l’elevata professionalità richiesta non sia effettivamente presente nella struttura amministrativa.
La configurazione del ruolo della Corte secondo lo schema delineato sembra in linea con gli indirizzi legislativi in materia in quanto anche la Presidenza del Consiglio dei Ministri si è espressa con parere n. 51/08 in ordine alla corretta interpretazione del requisito della “particolare e comprovata specializzazione anche universitaria” di cui al’art. 46 D.L. n. 112/08 convertito con modificazioni dalla l. n. 133/08 art. 1 comma 1; tale parere infatti evidenzia che il legislatore ha modificato l’art. 7, comma 6, del D. Lgs. n. 165/01, in un primo tempo con l’art. 3 comma 76 della l. n. 244/07, prevedendo che la Pubblica Amministrazione per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale, ad esperti di “particolare e comprovata specializzazione universitaria”, con il fine ben definito di limitare i soggetti destinatari di incarichi e di attribuire maggiore importanza alla figura dell’ “esperto” “altamente qualificato”, nel senso che non fosse più sufficiente per il relativo conferimento la “provata competenza” e prevedendo quale requisito minimo necessario il possesso della laurea magistrale o del titolo equivalente riguardante l’oggetto della collaborazione.
Il ruolo della Corte dei conti risulta maggiormente ampliato dalle recenti riforme nell’intento di garantire una sana e corretta gestione finanziaria, quale presupposto imprescindibile per il rispetto dei parametri relativi al patto di stabilità fissati in ambito europeo.
Al fine di avviare un’attività di controllo sull’adozione dei regolamenti per l’assegnazione degli incarichi e sulle relative modalità di affidamento degli stessi, è stata effettuata in primo luogo una ricognizione della documentazione pervenuta dall’anno 2008 ad oggi presso il nostro ufficio.
Da tale data tale il materiale risulta acquisito agli atti della segreteria od inserito nella documentazione riguardante i singoli Enti non essendo stato individuato in precedenza un referente per l’esame degli atti pervenuti.
Si è quindi proceduto ad una successiva fase di sistemazione della documentazione inviata dagli Enti suddividendo regolamenti ed incarichi per ogni provincia della Campania precisando per ognuna l’importo complessivo sostenuto per ogni anno di riferimento a decorrere dal 2008.
La suddivisione del materiale ha fatto emergere i dati riassunti nella tabella di seguito riportata, da cui si evince una tendenza in aumento per la provincia di Salerno degli incarichi di consulenza.
Incarichi di consulenza
Provincia |
Avellino |
Benevento |
Caserta |
Napoli |
Salerno |
2008 |
--- |
--- |
--- |
--- |
--- |
2009 |
--- |
--- |
--- |
--- |
--- |
2010 |
35 |
8 |
2 |
24 |
|
2011 |
1 |
17 |
4 |
44(asl na1) |
10 |
Sono stati inoltre individuati e suddivisi per anno e provincia i regolamenti di organizzazione adottati dagli Enti nella Regione Campania.
Le risultanze sono state sintetizzate nella tabella B.
Adozione di regolamenti di organizzazione
Provincia |
Avellino |
Benevento |
Caserta |
Napoli |
Salerno |
2008 |
20 |
15 |
41 |
41 |
66 |
2009 |
12 |
7 |
16 |
25 |
19 |
2010 |
12 |
4 |
10 |
9 |
14 |
2011 |
7 |
3 |
5 |
1 |
5 |
Sono stati inoltre evidenziati i dati relativi agli impegni di spesa assunti dagli Enti in funzione degli incarichi da conferire e gli esposti pervenuti in merito agli incarichi già assegnati; per maggiore completezza sono stati sintetizzati nelle successive tabelle.
Impegni di spesa per conferimento incarichi
Provincia |
Avellino |
Benevento |
Caserta |
Napoli |
Salerno |
2008 |
--- |
--- |
--- |
--- |
--- |
2009 |
--- |
--- |
--- |
--- |
--- |
2010 |
--- |
--- |
--- |
--- |
--- |
2011 |
2 |
1 |
14 |
6 |
Esposti pervenuti
Provincia |
Avellino |
Benevento |
Caserta |
Napoli |
Salerno |
2008 |
--- |
--- |
--- |
--- |
--- |
2009 |
--- |
--- |
--- |
--- |
--- |
2010 |
--- |
--- |
--- |
--- |
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2011 |
1 |
--- |
--- |
1 |
4 |